Dare la colpa agli altri: strategia diffusa

 

Si è sempre pronti a puntare il dito contro gli altri, quasi mai contro se stessi

di Alessia S. Lorenzi

 

Pare che “Incolpare gli altri”, nelle piccole, come nelle grandi questioni, sia una strategia molto diffusa. Ci sono persone che crescono, continuando a comportarsi  come i bambini, come quando si litigava con un amichetto e, “immancabilmente”, la colpa di tutto era sempre  sua, sempre di tutti tranne che nostra. Ma eravamo bambini.

Poi si cresce e… alcuni continuano ad usare le stesse strategie.

È come se qualcosa  impedisse loro di assumersi le proprie responsabilità. E si va all’attacco con frasi del tipo: “il Paese è in crisi economica per colpa del governo o di questo o quello Stato o di questa o quella moneta” oppure ci si lamenti “dell’inquinamento mondiale,  attribuendolo alla spregiudicatezza delle grandi industrie che non adottano un adeguato smaltimento dei rifiuti altamente tossici” e potrei continuare all’infinito con frasi del genere,  che mettono in evidenza la tendenza di molti a “scaricare” solo sugli altri le  responsabilità,  autoescludendosi dal circolo vizioso. È chiaro, sono tutte grandi verità, ma… viene spontanea una riflessione: “È sempre solo colpa degli altri?”  

Possibile che non ci si ponga, nemmeno per un attimo, il problema di quale sia il proprio, se pur piccolo, “ruolo” in tutto questo?

E allora cosa si fa? Ovvio, ci si lamenta. Con convinzione, con foga, con tutta la dialettica di cui si è capaci.

E ti accorgi che spesso chi si lamenta della crisi economica, “colpa dei governi e di Vattelappesca”, sia poi  il primo a cercare escamotage, per non pagare le imposte o per far “cancellare” quella multa per eccesso di velocità, presa sull’autostrada nell’ultimo week end. Oppure chi si lamenta dell’inquinamento, colpa delle “multinazionali che smaltiscono male i rifiuti e distribuiscono fumi tossici nell’aria”, alla prima occasione va a scaricare i suoi rifiuti (vecchi elettrodomestici, libri o cianfrusaglie varie)  nella prima stradina di campagna o sotto un ponte, in una strada isolata, alle due di pomeriggio o alle prime luci dell’alba, in barba alla coerenza e all’assunzione di responsabilità.

 

 

Questo modo distorto di analizzare le situazioni nasce dalla convinzione, sbagliata sottolineo io, del  “e io solo che  posso fare?” Senza rendersi conto che questa valutazione, questo “spostarsi di lato”, questo sentirsi impotenti, non fa altro che minimizzare il problema stesso: “Problema grosso, ma io non posso farci niente, quindi problema inesistente per me”.

Alla fine, assumendo continuamente questo atteggiamento,  molto comodo direi, ci si abitua ad utilizzare lo stesso ragionamento quando si affrontano problemi di vita quotidiana (la fine di un matrimonio, per esempio, o un licenziamento).

Si è talmente impegnati nel cercare “il colpevole di turno”,  da scordarsi di analizzare le vere cause delle diverse situazioni.

Ognuno di noi dovrebbe sempre  interrogarsi sul proprio ruolo nel verificarsi di un evento non gradevole,  perché altrimenti si rischia di sentirsi talmente sicuri nel ruolo delle “vittime” da convincersi che tutto ciò che accade non  possa essere modificato dal proprio  intervento, lasciandosi andare al “menefreghismo” più assoluto.

Quindi, se scaricare le responsabilità sugli altri può sembrare  comodo in un primo momento, a lungo andare può ritorcersi contro  e produrre sentimenti che portano alla perdita di autostima tendendo a considerare tutto fuori dal nostro controllo.

Non bisogna dimenticare che sbagliare è umano ma assumerci la nostra parte, anche se piccola, di responsabilità, ci nobilita.

Purtroppo però,  “parlar male degli altri è passatempo di molti, fare autocritica è pregio di pochi"