Il V Canto dell'Inferno

 

Paolo e Francesca “quei due che 'nsieme vanno”

 

(vv. 88 - 142)

 

(vv. 88 - 108)

 

I personaggi di Francesca da Rimini e Paolo Malatesta pare siano  tratti dalla cronaca locale  che doveva essere sicuramente nota ai lettori del tempo, qualora fosse vera.

Non esistono in realtà prove concrete di questo adulterio né che Paolo e Francesca si frequentassero davvero. Dante mise insieme, forse per primo, questa coppia, come l’immagine passionale di due giovani che si trovarono separati dall’inganno delle rispettive famiglie.

Le due potenti famiglie, spesso in contrasto tra loro, pensarono che avrebbero potuto risolvere i loro problemi, facendo sposare Francesca e Gianciotto. Gianciotto (detto Gianne lo Sciancato) non aveva un bell’aspetto, era nato con una malformazione fisica.

Paolo invece era un bel ragazzo (era chiamato Paolo il bello) e la famiglia decise di celebrare il matrimonio tramite procura; quindi inviarono Paolo a chiedere la mano di Francesca. Lei  credette che la richiesta di matrimonio provenisse da Paolo e accettò, ma al termine si ritrovò sposata a Gianciotto.

Dante ascolta le parole di Francesca che gli racconta la sua storia spiegandogli come fu ingannata, e di quanto fosse malvagio il marito, il quale, sospettoso, aveva incaricato un servo di seguire i due giovani con il compito di riferire quanto avesse visto.

Francesca rivolgendosi a Dante,  lo ringrazia per la pietà che dimostra verso di loro: “se fosse amico il re de l’universo, /noi pregheremmo lui de la tua pace,/ poi c’hai pietà del nostro mal perverso”.

Poi si presenta, dicendo di essere nata a Ravenna e di essere stata legata in vita da un amore indissolubile con l'uomo che ancora le sta accanto nella morte: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona,/mi prese del costui piacer sì forte,/che, come vedi, ancor non m’abbandona”.  Entrambi furono assassinati e la Caina, la zona del IX Cerchio dove sono puniti i traditori dei parenti, attende il loro uccisore (Gianciotto).

 

(109-142)

 

A questo punto Dante resta turbato e per alcuni momenti resta in silenzio, gli occhi bassi. Virgilio gli chiede a cosa stesse pensando  e Dante risponde di essere colpito dal desiderio amoroso che condusse i due dannati alla perdizione. Poi parla a Francesca chiamandola per nome, e chiedendole  quando si erano accorti che i loro desideri erano reciproci, “Francesca, i tuoi martìri /a lagrimar mi fanno tristo e pio. /Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, /a che e come concedette Amore /che conosceste i dubbiosi disiri?”

Francesca risponde dicendo che è doloroso ricordare del tempo felice quando si è miseri, ma se Dante ha un così grande desiderio di conoscere l'inizio della loro storia, la racconterà come chi piange parlando “dirò come colui che piange e dice.”

La donna racconta che un giorno lei e Paolo leggevano per divertimento un libro, che parlava di come Lancillotto si innamorò della regina Ginevra, moglie di re Artù. Più volte i loro sguardi si erano incrociati durante la lettura facendoli impallidire. Quando lessero il punto in cui era descritto il bacio dei due amanti, anch'essi si baciarono e quel giorno non continuarono più a leggere il libro.

Mentre Francesca parla, Paolo resta in silenzio e piange (Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangea”) ; Dante è sopraffatto dal turbamento e sviene.

Il verso 142 che conclude il Canto,  è molto simile al verso 136 che chiudeva il III Canto: “e caddi come l'uom cui sonno piglia”.

 

(© Alessia S. Lorenzi)

 

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