Il V Canto dell'Inferno    di Alessia S. Lorenzi   

 

Paolo e Francesca “quei due che 'nsieme vanno”

 

Ary Scheffer – Francesca e Paolo davanti a Dante e Virgilio, 1835, Olio su tela
Ary Scheffer – Francesca e Paolo davanti a Dante e Virgilio, 1835, Olio su tela

Prima parte vv. 1-87

I pericoli morali, che Dante affronta nel suo viaggio  attraverso l’Inferno,  sono la lussuria, la superbia e l'avarizia. Questi tre peccati rappresenteranno  momenti chiave di quel suo viaggio immaginario.

Uno dei canti della Divina Commedia  più amati o, forse, il più amato  in assoluto,  è il  Canto V, dedicato alla tormentata storia d'amore di Paolo e Francesca.

La bufera infernale che trascina  i dannati lussuriosi  e li sbatte da un lato all'altro del Cerchio, è una delle figure dominanti di questo Canto.

Usciti dal cerchio del Limbo, Dante e Virgilio entrano nel II Cerchio, meno ampio del precedente, poiché la struttura dell’Inferno si restringe come una voragine, un cono, ma molto più inquietante e doloroso. “Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia…” All’ingresso, ecco  Minosse, il mitico figlio di Giove, che ringhia con l’aspetto mostruoso di Satana: è qui in veste di giudice e di esecutore delle sentenze. Rappresentante della giustizia divina, ascolta le colpe delle anime dannate e indica loro il Cerchio nel quale sono destinate, attorcigliando intorno al corpo la lunghissima coda tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve discendere. Non appena vede che Dante è vivo, lo apostrofa con durezza e lo invita a non riporre tanta fiducia in Virgilio, poiché uscire dall'Inferno non è così facile  come entrare. Virgilio lo zittisce ripetendo la stessa risposta che diede a Caronte "Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare", ricordando che il viaggio di Dante è voluto da Dio.

L'immagine dominante del cerchio, è senza dubbio quella della bufera infernale. E’ un esempio della legge del contrappasso, dove il peccato di cui si macchiano gli esseri umani durante la  vita terrena, viene ripetuto nell'Aldilà per analogia, quindi in modo esagerato, come in questo caso, oppure  per contrasto, quando la pena è l’opposto della peccato.  I lussuriosi sono trascinati da una bufera travolgente, che simboleggia la forza della passione sessuale cui essi non seppero opporsi in vita. Dante li definisce “peccator carnali, / che la ragion sommettono al talento”.

 

G. Dorè: “Quel giorno più non vi leggemmo avante” 1861. G. Dorè: “Quel giorno più non vi leggemmo avante” 1861.

Prima di incontrare Paolo e Francesca, Virgilio mostra a Dante sette peccatori della tradizione classica: Semiramide, leggendaria regina assiro-babilonese, moglie del re Nino, fondatore eponimo di Ninive,  che Giovanni Villani, cronista e storico fiorentino (1280 ca -1348) nella sua opera "Istorie fiorentine" la definisce  "la più crudele e dissoluta femmina del mondo". Di lei Dante dice: “A vizio di lussuria fu sì rotta,/che libito fé lecito in sua legge/ per torre il biasmo in che era condotta”, cioè fu così sfrenata nel vivere, che dichiarò consentito dalla legge ciò che piacesse a ciascuno, per cancellare il biasimo, la disapprovazione della sua vita dissoluta e priva di qualsiasi ritegno.

Dante non cita subito Didone, la descrive indicandone  i peccati e il nome del marito “L'altra è colei che s'ancise amorosa, /E ruppe fede al cener di Sicheo”; solo successivamente è più esplicito “cotali uscir de la schiera ov'é Dido, a noi venendo per l'aere maligno”. Didone, infatti, unendosi a Enea, fu colpevole di tradimento della memoria del marito Sicheo, poichè aveva promesso di restare vedova. Si ucciderà successivamente, in seguito all’abbandono di Enea.

Cleopatra, la regina seduttrice, ultimo sovrano d’Egitto, poi sfilano in ordine: Elena, Achille, Paride e Tristano. Questa composizione mette ancora più in risalto il sincretismo di Dante, il quale riesce a far coesistere riferimenti storici, biblici e mitologici con un’ armonia  senza eguali.

Ci sono, come dicevo, personaggi del mito e della letteratura, come Didone, Achille, Tristano. Dante sembra intenzionato a porre l’attenzione sulla letteratura amorosa, che celebra l'amore sensuale e non spiritualizzato e quindi pare quasi ritrattare parte della sua precedente produzione poetica (vedi “Rime Petrose”), quasi a condannarla poiché probabile  fonte di peccato e quindi pericolosa per coloro che, leggendo, potrebbero essere indotti a emulare le vicende raccontate nei libri.

A un certo punto, Dante nota che due di questi spiriti, volano accanto, come uniti da qualcosa di molto forte, potente e manifesta il desiderio di parlare con loro:  “I' cominciai:  - “Poeta, volentieri; parlerei a quei due che 'nsieme vanno -”.

Virgilio acconsente alla richiesta di Dante e lo  invita a chiamarli, cosa che il poeta fa immediatamente: “O anime affannate, venite a noi parlar s'altri non niega!”

I due spiriti si staccano dalla schiera di anime e volano verso di lui, come due colombe che vanno verso il nido.

Si tratta degli amanti  Paolo e Francesca.

(Continua il Canto V)

 

 

(© Alessia S. Lorenzi - riproduzione riservata)

 

 

 

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